LIBERTA' O MORTE - PIRANESI VEDOVA AL BROLO DI MOGLIANO VENETO


Questa mattina sono andato a vedere la mostra "Libertà o morte" allestita al Brolo di Mogliano Veneto con un leggero pregiudizio nei confronti del connubio Piranesi - Vedova ma curioso di capire meglio perché e come due artisti tanto distanti, nel tempo e nello stile, potessero essere associati in un percorso espositivo unico e coerente. Ho insegnato per tanti anni Storia dell’Arte nella scuola ma mai, dico la verità, mi è venuto in mente un accostamento tra questi due artisti italiani, tanto grandi quanto diversi. Devo confessare di essere rimasto colpito dalla bellezza della mostra che si percepisce proprio nel passaggio dal piano terra al primo piano ovvero dal mondo di Piranesi a quello di Vedova con una sensazione di incredibile, inaspettata continuità. Le acqueforti di Piranesi sembrano parlare lo stesso linguaggio delle riproduzioni in acquatinta di Vedova, c’è la stessa atmosfera di imprevedibile sorpresa nella scoperta degli spazi prospettici inventati dall’uno e dall’altro, seppure con tecniche e modalità espressive diversissime. Una vera scoperta, una esaltante esperienza emotiva di cui devo ringraziare coloro che hanno concepito questa proposta culturale e chi ne ha consentito la realizzazione così ben fatta, nella semplicità, nella essenzialità elegante di uno spazio che merita certamente un rilievo nazionale, più di altre precedenti (altrettanto pregevoli). Le opere esposte si osservano con godimento in quanto attraggono e incuriosiscono proprio perché se ne coglie il senso comune profondo nel confronto spontaneo e immediato tra i due Maestri. Da non perdere assolutamente.


Dal 02 Dicembre 2023 al 18 Febbraio 2024

MOGLIANO VENETO | TREVISO

LUOGO: Brolo - Centro d'Arte e Cultura

INDIRIZZO: Via Rozone e Vitale 5

ORARI: Venerdì | 16.30 > 19.30 Sabato e Domenica | 10.30 > 12.30 / 16.30 > 19.30

CURATORI: Angelo Zennaro

ENTI PROMOTORI:

  • Città di Mogliano Veneto

COSTO DEL BIGLIETTO: ingresso gratuito

IL VENTO TRA GLI ULIVI



La campagna nei dintorni di Putignano (BA) è una meraviglia. Le distese di ulivi e alberi di ogni tipo che crescono con la cura e l’amore di una antica tradizione contadina, a tratti intervallati dai muretti a secco che solo qui sanno costruire con questo livello di perizia, si perdono all’orizzonte limpido e incredibilmente privo di sagome architettoniche fuori luogo o stonate. Tutto è perfettamente armonizzato: la linea ondulata del terreno, le sagome degli alberi secolari, l’aria fresca, il cielo senza nuvole e il venticello frizzante che attraversa gli ulivi, la cui potatura esperta e accurata favorisce il passaggio dell’aria tra i rami e la migliore fioritura stagionale. Qui e là qualche trullo vecchio e malandato che ricorda un passato ormai perduto nel tempo e nei ricordi e qualche altro invece egregiamente ristrutturato. Si percepisce la determinazione e la volontà di alcuni abitanti di conservare la qualità e la morfologia del territorio, con piante e abitazioni tradizionali, seppure rimodernate con cura, e la noncuranza di altri che su questo territorio hanno solo lasciato ricordi familiari e progetti incompiuti. Una terza categoria di persone che abitano queste zone appartiene al presente e forse al futuro di questa terra meravigliosa e malinconica: stranieri in cerca di investimenti finanziari redditizi che acquistano per speculare sulle bellezze di una terra preziosa, senza scrupoli e senza un reale interesse alla tutela delle sue prerogative storiche e culturali, millenarie.

Molte masserie,  moltissimi trulli e rustici di campagna sono oggetto di compravendita da parte di gruppi stranieri che stanno lentamente ma incessantemente occupando il settore con alberghi, residence, resort e villaggi turistici che portano in Puglia turisti attratti dalle eccellenze  architettoniche, culinarie e naturalistiche che, sempre di più, sono a pannaggio esclusivo dei ricchi.

Senza capire che questo porterà ad un progressivo depauperamento di un patrimonio inestimabile di competenze, di tradizioni, di cultura che solo gli autoctoni  possono conservare con l’affetto e la dedizione necessari.

Un esempio di cosa si può fare per contrastare questa deriva drammatica viene da una coppia di giovani amici architetti che in questo territorio sono nati e cresciuti e che attualmente lavorano come professionisti  ma anche come operatori del settore turistico. Hilde e Luigi, una coppia con due figli che ha deciso da qualche anno di vivere in campagna,  senza tralasciare il proprio impegno professionale anzi, mettendone a frutto le risorse tecniche ed economiche ed investendo tutto nella costruzione di un piccolo villaggio di trulli, tutti saggiamente ristrutturati e resi abitabili con una operazione  progettuale di ampio respiro e offerti alla fruizione di un turismo colto e rispettoso del territorio, interessato a conoscere ed approfondire le peculiarità del luogo, da ogni punto di vista. Ho avuto la fortuna di soggiornare in questo bellissimo  villaggio e devo dire che da ogni particolare si coglie l’amore che questi due giovani architetti hanno per la loro terra e per il loro lavoro, la volontà di offrire ai loro ospiti italiani e stranieri, il meglio e la più alta qualità che questa terra può offrire dal punto di vista ambientale, climatico, alimentare e culturale. Questa loro necessità si percepisce da ogni cosa, dalle forme architettoniche, dalla luce che le avvolge, dai colori che hanno scelto, dai materiali e dai sistemi con cui li hanno usati per costruire, sanare, ristrutturare e arredare. Ogni trullo ha una sua definizione formale e strutturale, magari con qualche piccolo ampliamento per renderne la fruizione più confortevole (un bagno, una cucina, una cameretta e una piccola piscina) ma tutti  hanno un aspetto esteriore che testimonia la loro origine millenaria e, allo stesso tempo, una modernità prorompente ma rispettosa che li accompagna.

Hilde e Luigi sono due architetti atipici, non sono investitori accaniti e spregiudicati, non sono speculatori in cerca di guadagni facili, non sfruttano il territorio (se non con i loro ulivi centenari per fare dell’olio buonissimo) e nemmeno il turismo di massa pretenzioso e ignorante che ha invaso la Puglia da qualche decennio. Quello che dimostra di poter  spendere soldi per un lusso che in molti offrono a buon mercato e senza badare al contenuto, alla sostanza, ovvero a ciò che questa terra può offrire in termini di cultura contadina, conoscenze naturalistiche e storiche, arte e architettura, tradizioni culinarie, umanità e molto altro.

Forse il loro è l’unico modo intelligente di praticare una professione difficile come quella dell’architetto, di promuovere il proprio territorio, salvaguardarlo e viverlo appieno, senza doversi compromettere politicamente, economicamente, moralmente ma semplicemente trasformando l’amore per tutte le cose belle del loro paese in una attività lavorativa dignitosa e piena di idee innovative che serva a rendere la loro una famiglia felice e ad offrire un pezzetto di questa felicità anche agli ospiti che li vanno a trovare.

Grazie Hilde e grazie Luigi, continuate così.

























MI HA SALVATO JAMBO JAMBO

 TERZA PARTE

Un tonfo secco mi sveglia di colpo. Un cocco, con tutta la sua armatura di legno, si è abbattuto pesantemente al suolo a poche decine di centimetri dalla mia branda… Potevo riceverlo in testa se solo avessi deciso di appisolarmi un po’ più in là. Sono stato fortunato e allo stesso tempo incosciente perché ci sono cartelli dappertutto  che spiegano, in inglese, quanto sia pericoloso appostarsi all’ombra delle palme ma troppo vicini al tronco. Ci allontaniamo, per sicurezza ci incamminiamo lungo la spiaggia dove incontriamo un gruppo di donne variopinte, vestite con tessuti dai colori sgargianti, si avvicinano a noi in gruppo, sembrano allegre ma non si fanno fotografare volentieri, cantando ci incrociano, si dirigono verso un punto lontano sul mare, verso l’orizzonte. Ci chiediamo dove vadano così baldanzose queste donne vestite di tutto punto, alcune a piedi scalzi, sulle rocce taglienti nella bassa marea. Ci dicono che vanno a pesca. Non si capisce in che modo perché non portano quasi nulla se non piccolo secchio e un bastone. Camminano e cantano fino a quando le loro sagome diventano piccolissime e le loro voci indistinguibili. Dalla parte opposta si avvicina intanto un temporale…




Con un tempo incerto e tutt’altro che rassicurante ci addentriamo nel paese a ridosso del villaggio turistico, non ancora pronto ad accoglierci in quanto la pulizia della camera va avanti a rilento…Botteghette un po’ precarie si affacciano disordinatamente sulle strade di terriccio  e buche, vendono un po’ di tutto, attrezzi, utensili, cibo e spezie senza contenitori industriali, molto viene esposto all’aria aperta e le donne (sono loro che gestiscono generalmente questi negozietti) sono sedute fuori, su qualche sgabello di fortuna, per terra o sotto gli alberi e realizzano braccialetti colorati sotto lo sguardo curioso e divertito di una miriade di bambini belllissimi che sbucano qua e là. La plastica qui sembra arrivata in ritardo e la gente la conosce poco, forse non la capisce e la disperde per la strada come fosse una sostanza naturale e non chimica. Per terra è un po’ ovunque e resta in bella vista fino a quando non viene bruciata in grossi mucchi che sprigionano fumo nero pericoloso e puzzolente. Nessuno raccoglie nulla e tutto è lasciato lì a fare bella mostra di sé, sulla strada. Sotto gli alberi, negli angoli, tra le macerie…Differenziare qui è un verbo sconosciuto ma si avverte che su questo tema c’è una certa attenzione da parte del governo o di chi comanda ma, a parte sporadici contenitori in rete metallica a forma di pesci nelle zone urbane più frequentate dai turisti, c’è poca sostanza. In effetti, la prima cosa che viene in mente girando per questi  centri “urbani” è cosa faccia mai il governo locale per questa popolazione, visto lo stato delle strade, la mancanza diffusa di corrente, di acqua, di collegamenti e di servizi pubblici di ogni genere. L’acqua viene fornita a bidoni da 50 litri oppure con autocisterne che la distribuiscono nei  centri abitati a pagamento. I più fortunati la conservano in grossi silos in plastica sospesi su strutture dall’aspetto precario che ne consentono la distribuzione per l’innaffiamento o altri usi domestici ma si ha l’impressione che il meglio sia destinato ai “volponi” stranieri che hanno trasferito qui i loro affari e che stanno sfruttando a fondo la terra, qui largamente disponibile, approfittando di norme edilizie poco restrittive. La quantità di resort, villaggi a cinque stelle e strutture turistiche alberghiere di un certo pregio diffusi sul territorio, fa pensare che siano in molti gli stranieri (tanti italiani) ad avere avuto l’idea di trasferirsi qui per investire i propri risparmi in attività ricettive, nelle quali la popolazione locale è coinvolta soltanto come forza lavoro. Uno stipendio medio si aggira intorno ai 150 dollari che, al costo della vita locale, sono sufficienti per vivere dignitosamente ma non certo per accumulare capitali da investire in attività economiche e imprenditoriali. La proprietà delle attività ricettive e le poche forme di impresa restano dunque saldamente nelle mani di stranieri che arrivano qui con risorse economiche ingenti (in rapporto al contesto) che non trovano evidentemente concorrenza nell’imprenditoria locale ma piuttosto il sostegno e la collaborazione dele amministrazioni e del governo. La distanza tra chi investe e chi lavora è chiara nella evidenza architettonica: le case degli “stranieri” sono case a tutti gli effetti, solide, squadrate, in cemento, con il tetto in legno e lamiera, gli impianti regolari, i pannelli solari ecc. Quelle dei locali sono baracche che spesso cadono a pezzi, con muri di terra, lamiere arrugginite, pezzi di legno di recupero e foglie di palma e bambù assemblate alla meno peggio. Nella breve passeggiata che facciamo all’esterno, prima di tornare al villaggio ed entrare finalmente  in camera, mi convinco che qui c’è troppa distanza tra chi sfrutta la ricchezza dei luoghi (spazi infiniti, terreno in abbondanza, disponibilità e simpatia della popolazione locale, facilità di impresa, semplicità dei rapporti e della vita in generale) e chi in questi luoghi ci è nato e ci vive, apparentemente ancora da schiavo…




Rientriamo al villaggio per il pranzo in quanto ci daranno la camera solo nel primo pomeriggio. Protestare è inutile e anzi, non mi viene neanche voglia di farlo, perché i zanzibarini sono tutti troppo simpatici e gentili e con tutti i sorrisi e i “Jambo jambo” che ho ricevuto mi è passata pure la stanchezza.