CATERPILLAR


Ho disegnato questa vignetta dopo aver letto e approfondito la questione dei 270 operai della Caterpillar lasciati senza lavoro da un giorno all’altro, senza preavviso e con modalità quantomeno improprie. L’azienda risulta in buone condizioni economiche, gli operai di Jesi sono riconosciuti di altissima professionalità e il prodotto che esce da questa fabbrica è di ottima qualità, non è spiegabile quindi una scelta come quella della Caterpillar di lasciare a casa tutti questi lavoratori con le conseguenze drammatiche che questo provocherà alle loro famiglie e al territorio. Mi ha disgustato il modo con cui gli operai sono stati informati della situazione: l’amministratore delegato della Caterpillar che va davanti ai cancelli della fabbrica , scortato da 3 bodyguard e un giuslavorista, per comunicare che il loro lavoro da domani non c’è più in quanto l’azienda ritiene più conveniente produrre gli stessi pezzi meccanici altrove. Punto. 

E la lotta operaia, la lotta di classe, il sindacato, lo Statuto dei lavoratori e tutto il resto? Che fine fanno? Calpestati dalle quattro paroline di circostanza di questo pavido dirigente francese e dalla ignavia di un Governo italiano incapace di far rispettare soprattutto la nostra Costituzione… Vergogna!


E' stata la mano di Dio

 


Il film di Sorrentino, per me, è bellissimo.

Ho vissuto la mia giovinezza negli stessi luoghi del film, conosco bene quelle atmosfere, quei momenti e riconosco esattamente lo spirito con cui Sorrentino ha voluto raccontarli. La sequenza iniziale del mare e della visione complessiva della strada panoramica più bella di Napoli (via Caracciolo) con l’automobile che porta San Gennaro è molto evocativa e può far sognare chiunque ma un napoletano la sente in un altro modo, in fondo all’anima, come una parte impalpabile di se stesso. Tutti i napoletani, siano essi della parte “alta” benestanti che della parte “bassa” o delle periferie, sentono quella particolare empatia che li lega alla loro città come un’onda, un soffio di vento che li trasporta sul pelo dell’acqua, dal Castel dell’Ovo fino a Capri. Questa è la grandezza di Napoli, far sentire i suoi abitanti tutti uguali e tutti mossi  dagli stessi sentimenti verso un unico ideale di bellezza  “antica”, la stessa che Sorrentino racconta utilizzando la metafora di Maradona come fosse una divinità (e nel cuore dei napoletani lo è e lo sarà per sempre) accostandola alle antiche bellezze archeologiche nelle quali egli stesso trova la sua ispirazione, il suo invito a partire per seguire i suoi sogni. Napoli come una madre a cui Sorrentino ritorna per osservarla a lungo e intensamente, come non ha potuto fare con la sua di mamma, tragicamente scomparsa e amata intensamente e per sempre, come dimostrano tutte le immagini di quotidiana normalità in cui la ricorda e in particolare nel dialogo tenero seduti al tavolo della cucina di casa. Nel film molti oggetti, azioni, gesti consueti a noi uomini e donne di quella terra e di quel periodo, chi può dimenticare la Napoli in festa dello scudetto e chi può (di noi “eletti”) comprendere meglio cosa sia per Sorrentino il ricordo di una corsa con papà e mamma, sulla vespa e senza casco, per la strada più bella del mondo, sullo sfondo di una Napoli incantata? E la gita notturna in motoscafo con l’amico contrabbandiere, l’attrazione per la zia Patrizia, il portiere del palazzo con il cuore grande, i bagni e i tuffi dal gozzo, il pranzo di famiglia sotto il pergolato e un parentado un po’ sui generis con cui si ride di gusto di qualsiasi cosa. Una meraviglia questo “Amarcord” di Sorrentino che forse capiranno fino in fondo solo quelli come me, che hanno percorso le stesse strade, gli stessi vicoli, lo stesso mare, gli stessi panorami che ha raccontato così bene Sorrentino per il semplice fatto che li ha dentro come tracce indelebili del suo passato e del suo presente. La sequenza finale è un capolavoro assoluto, sempre dal mio punto di vista particolare beninteso, quando Fabietto (Sorrentino) indossa le cuffiette mentre sul suo viso scorre in trasparenza il paesaggio visto dal treno sulle note di “Napul’è” del grande Pino Daniele. Non poteva dare un messaggio più commovente e più condivisibile di questo a tutta la generazione di napoletani “apolidi” (come me e come tanti) che con lo stesso bagaglio di immagini negli occhi e di musica nel cuore hanno lasciato la città per cercare di realizzare i propri sogni altrove, spesso riuscendoci.

ARTISTI IN MOSTRA PER SOSTENERE L'ADVAR

Sabato 4 e Domenica 5 Dicembre 2021 si terrà presso Villa Condulmer di Mogliano Veneto una mostra collettiva di 68 artisti che hanno offerto un dipinto da mettere in vendita a partire da una base d'asta di 200 Euro. Tutto il ricavato è destinato a sostenere l'ADVAR onlus di Treviso. 



UNA SCUOLA SENZA “DANNI” NELLA CITTA’ IDEALE



Sfogliando alcune vecchie carte, nel fare la solita pulizia periodica del mio studio, ho riletto alcune cose interessanti riguardanti la scuola che frequentavo fino a qualche anno fa e di cui ho dimenticato quasi del tutto le cose peggiori ma conservato un ricordo nitido delle migliori. Rileggere mi ha risvegliato il ricordo di alcuni episodi ormai lontani che al momento mi sembrarono sconvolgenti, addirittura insopportabili, ma ora mi fanno sorridere se ripenso a quanto tempo ho sprecato della mia vita a rincorrere un ideale di giustizia irraggiungibile in una società come la nostra, nella quale spesso si intrecciano i ruoli istituzionali e professionali con  gli interessi o le ambizioni personali e i meriti con i privilegi. La scuola è stata, negli anni dalla riforma Berlinguer in poi, lo specchio in cui si è riflessa la nostra società con tutte le sue enormi contraddizioni. Nel mio piccolo ho vissuto sulla mia pelle la trasformazione della scuola e anche il “danno” che essa ha subito in questi ultimi decenni a causa delle riforme che di volta in volta i vari governi hanno realizzato, sulla pelle degli insegnanti ma anche e soprattutto su quella dei giovani, ai quali è stata tolta a mio parere la possibilità di formarsi una cultura adeguata ad affrontare questi tempi così complicati. Basti pensare alla riforma della scuola media che era la parte fondamentale del percorso scolastico, quella nella quale si formava la base portante delle conoscenze di ognuno che ora sforna studenti per la scuola superiore spesso incapaci di leggere e di scrivere, oppure a quella delle Università del 3+2 in cui non si capisce più i laureati in cosa esattamente si siano specializzati e spesso non lo sanno nemmeno loro. Ma l’episodio che mi è tornato in mente rovistando tra le vecchie carte fa riferimento ad una componente della scuola (i genitori) entrata a farne parte grazie alle suddette riforme le quali hanno sì “democratizzato” l’istituzione aprendola al contributo delle famiglie ma ne hanno anche pregiudicato la stabilità e l’efficienza inserendo forzatamente nel contesto scolastico un “corpo estraneo”, una sorta di “mina vagante” in grado di condizionarne il delicato meccanismo didattico-amministrativo fino a farlo implodere, come fu nel caso che racconterò prossimamente. 

Nel frattempo consiglio la lettura del bellissimo libro di Paola Mastrocola e Luca Ricolfi ( “Il danno scolastico” ) e, in particolare, la “lettera ad un genitore” in esso contenuta.




 

21 novembre: giornata nazionale degli alberi


Oggi 21 novembre è una giornata importante per tutti coloro che non sopportano l'idea di un albero che muore, un albero tagliato, abbattuto dalle intemperie o sfinito dalla siccità o dall'incuria dell'uomo. Se volete fare qualcosa potete agire direttamente sul rimboschimento del pianeta regalando un albero a distanza su Treedom. Un contadino lo pianterà nella sua terra, sarà parte di un progetto di sviluppo di cui sarete costantemente informati attraverso foto e dettagli che potrete ricevere sulla pagina che il sito dedica ad ogni albero. Il mio me lo ha regalato mio figlio e si trova in Guatemala, è un albero del caffè.

Regalate un albero per Natale! 

Intervista all'arch. Caprioglio, autore della casa più bella d'Italia

Dopo aver letto sui giornali locali del prestigioso premio assegnato all'Arch. Filippo Caprioglio per il progetto di una casa unifamiliare a Mogliano Veneto, gli ho chiesto un incontro per fargli qualche domanda a proposito del suo progetto ma anche più in generale sulla situazione attuale della architettura. Come professionista attivo nel territorio veneto, e non solo, ha certamente il polso della situazione, per questo ciò che dice in questa chiacchierata-intervista, a mio parere, è molto interessante.

L'intervista è pubblicata in originale sul giornale "La Piazzaweb"

Foto di Walter Dabalà

Negli ultimi anni, grazie a leggi emanate dai governi  per favorire il lavoro e l’economia, l’edilizia ha avuto uno sviluppo notevole e gli effetti si vedono con la modifica sostanziale delle nostre città che stanno lentamente cambiando  la loro forma e anche la loro funzione, in alcuni casi con una cementificazione selvaggia che sta stravolgendo i centri storici, le periferie ma anche il modo di vivere la città e le relazioni umane. Qual è, secondo Lei, il compito professionale dell’architetto oggi, in questa situazione?

L’architetto deve avere il ruolo di educatore, tutti gli architetti che hanno segnato ( a ragione ) il loro tempo lo hanno fatto con grande etica ovvero lavorando e progettando per le persone. Questo è il mio mantra. Il progetto di una casa si basa sulle relazioni intima che essa stabilisce con le persone che ci vivono ma a sua volta stabilisce un rapporto con ciò che ha al contorno e con altre persone. La casa che ho costruito a Mogliano come, ad esempio, gli edifici residenziali in via Toti a Mestre e a Zelarino, hanno generato nei confinanti la volontà di interagire con queste nuove costruzioni e la necessità di rinnovare le proprie abitazioni. La buona architettura sollecita le persone a riflettere sulla qualità del proprio ambiente.

Una specie di contaminazione. Può sintetizzare in pochi punti quali sono gli elementi che hanno riqualificato le zone in cui è intervenuto?

La qualità dei materiali, della composizione architettonica delle facciate, la scelta di riutilizzare tutto o parte del preesistente, alcuni elementi architettonici come le ampie terrazze, tutti elementi che danno qualità al vivere e una percezione di benessere alle persone.

Mogliano Veneto negli ultimi anni ha sacrificato una parte consistente del proprio centro storico per fare spazio ad un enorme supermercato dalle linee architettoniche “industriali”, a parcheggi senza alberature e ad una serie di condomini di dimensioni sproporzionate a pochi metri l’uno dall’altro a ridosso di edifici importanti per la città come la chiesa madre e il museo Brolo, per ricevere in cambio spazi a verde pubblico del tutto insufficienti, di passaggio e sostanzialmente decorativi. Di chi è la responsabilità di tutto questo?

So di dire una cosa impopolare però c’è sempre innanzitutto la nostra responsabilità, quella dei progettisti. Se si trova sul tavolo un “piatto” così , anche se giustamente il committente vuole massimizzare il suo investimento chi “apparecchia” la tavola è pur sempre l’architetto il quale, come dicevo prima, deve “educare”, far capire che ci sono delle relazioni funzionali e umane da mantenere, l’edificio che si trova lì vicino è importante dunque va bene, se concesso dai regolamenti, fare un supermercato ma guardiamo anche il contesto e gli esempi di questo tipo realizzati nella mitteleuropa, a Bolzano o a quello che ha fatto Despar, marchio attento anche all’architettura dei propri fabbricati.

Io non mi spiego come sia possibile avere una opportunità come quella di dare alla città uno spazio commerciale collettivo, fatto di scambi, relazioni, incontri e si partorisca un edificio dalle linee “industriali”, contornato da un parcheggio sterminato con un verde a dir poco striminzito …

Infatti, è per questo che dico che la colpa è nostra, almeno al 70%.Io credo ancora “romanticamente” che non facciamo gli architetti per denaro ( tanto sappiamo che non diventeremo ricchi con questo mestiere) almeno sfruttiamo le occasioni che abbiamo per fare qualcosa di bello e di utile. L’altro 30% di responsabilità  però è della committenza, generalmente…

E l’Amministrazione pubblica, non ha a delle responsabilità nelle scelte urbanistiche?

A livello di scelte di piano regolatore sicuramente in quanto, pur non avendo la sfera di cristallo, le amministrazioni devono essere in grado di prevedere gli esiti di tali scelte; gli strumenti per inserire dei “paletti” e delle prescrizioni ci sono.

Lei ha operato a Mogliano, dove ha realizzato quella che è stata definita “la casa del lusso più bella d’Italia”, ha avuto difficoltà con l’Amministrazione?    

Guardi, devo dirlo, nessuna difficoltà, è stata veramente un percorso  super! Ho avuto la fortuna di essere seguito da responsabili con cui abbiamo dialogato tantissimo, tecnici colti e competenti…



Dunque, per ottenere buoni risultati, conta avere rapporti con una Amministrazione collaborativa, partecipe che capisca il valore di un progetto rispetto ad un altro?

Conta tantissimo! Senza alcun dubbio.

E come è possibile che le stesse persone che hanno apprezzato e sostenuto il suo progetto, davanti a progetti impresentabili o decisamente brutti non hanno la forza di impedirne la realizzazione?

Purtroppo ne hanno poca, direi tendente allo zero… Una volta c’erano le commissioni edilizie che potevano esprimere un parere vincolante oggi, quando ne ha la competenza, rimane solo la Sovrintendenza… d’altra parte se un collega rispetta la norma, a livello giuridico risulta inattaccabile, sull’estetica, pur nella soggettività’ della materia, credo potremmo fare un'altra chiacchierata specifica. Altro argomento e’ il “buon costruire” , su questo forse anche l’amministrazione degli strumenti li avrebbe.

E i cittadini? Hanno anche loro delle responsabilità?

Le dico la verità, sono un po’ allergico ai comitati che si mettono di traverso  talvolta senza conoscere l’iter di un progetto  ma sono convinto che l’Amministrazione debba sempre spiegare ai cittadini e richiederne la partecipazione, quando un progetto andra’ a modificare il vivere pubblico. Io sostengo da sempre i “progetti partecipati” poi, quando le cose si trasformano in guerre tra fazioni, allora è tutto più difficile… Diventa spesso confronto politico e allora si entra in un campo diverso.

Ho associato il suo progetto per lo Spazio Berlendis di Venezia ad alcune cose di Carlo Scarpa per il rispetto che dimostra nei confronti del contesto in cui si inserisce, difficile e prezioso. Perché questi risultati si ottengono spesso nei lavori privati e non nelle opere pubbliche?


Lo Spazio Berlendis è l’intervento privato più pubblico che io abbia fatto nella mia carriera. Eravamo esposti a tutto e a tutti, sempre, mentre operavamo nello squero più antico della città, di fronte all’Ospedale San Giovanni e Paolo. Uno spazio che ha avuto una risonanza incredibile molto prima della sua inaugurazione, sui social soprattutto dove non sono mancati gli attacchi scorretti circa mie presunte “entrature” per ottenere i permessi. Altro che entrature! Un anno di lavoro, di analisi approfondite, di studi e di confronti, ricerche, disegni e attenzione millimetrica a tutto pur di essere coerenti e ligi ai principi e alle norme per ottenere i permessi.

Che risposta ha avuto dall’Amministrazione veneziana, collaborativa?

Il progetto segue delle regole precise, sia il Comune che la Sovrintendenza hanno assunto  un ruolo importante e con loro ho avuto uno scambio e una collaborazione di altissimo livello qualitativo. Ho trovato tecnici veramente illuminati che hanno capito e che sono entrati nel progetto, felici di potervi entrare con competenza, entusiasmo e partecipazione. E’ stato un percorso bellissimo che, senza voler fare paragoni con il Maestro, anche Scarpa avrà seguito districandosi tra norme e permessi, come tutti…

Questo mi conferma l’idea che quando l’architetto raggiunge una certa fama non è vero che è tutto più facile, anzi…

Tutt’altro. Ti aspettano al varco! A volte si possono creare invidie, succede…E’ altrettanto vero che quando viene riconosciuta l’etica e la qualità del progettista si e’ portati all’ascolto e alla valutazione del progetto sapendo chi si ha di fronte. Poi  dipende anche da come ci si pone, ovviamente.

“La casa del lusso più bella d’Italia” è opera sua e si trova a Mogliano, ha vinto il premio “Lifestyle Luxury Award 2021” questo fa di lei una “Archistar”?      

(sorride) Tra  amici e  conoscenti  ma anche per testimonianze indirette che indubbiamente fanno piacere, ho una considerazione alta, del tipo: “ se vinco l’Enalotto mi faccio fare la casa da te…” ma è una affettuosa esagerazione che accolgo con divertimento perché, in realtà, si può fare della buona architettura con budget molto sostenibili, si possono ottenere case ideali per famiglie a prezzi accessibili. Poi trovo giusto che il committente che può spenda per avere una  maggiore dimensione spaziale o materiali non alla portata di tutti.

L’architetto dunque può realizzare, se non proprio i sogni, almeno una dimensione “ideale” del vivere. In cosa consiste , in poche parole, la bellezza della casa che lei ha progettato a Mogliano?

Nel fatto che tutti gli spazi  interni ed esterni sono generati attraverso la luce che è il filo conduttore  dell’idea progettuale, il giardino è concepito come parte integrante della casa in cui non c’è soglia ed esiste una continuità spaziale che ti fa sentire dentro quando sei fuori e viceversa. Gli elementi naturali hanno determinato molte delle mie scelte progettuali.

E perché proprio a Mogliano?

Ma, me lo sono chiesto anch’io, il committente ha scelto me ed io mi sono adeguato al contesto urbano che ho trovato che non mi ha condizionato particolarmente essendo molto poco caratterizzato ( se fossi stato dall’altro lato del Terraglio, in zona “citta giardino”, avrei operato diversamente in quanto più condizionato dalla situazione preesistente ). L’unico condizionamento c’è stato nei rapporti di scala, se lei arriva da via Sauro, a piedi o in auto, si accorge della presenza della casa solo quando è a 10 mt. Lo studio che abbiamo fatto sui rapporti dimensionali e sulla posizione è stato al centimetro.

Per concludere, architetto Caprioglio, questo non è il solo progetto che le ha dato soddisfazione sul piano professionale (durante il nostro colloquio ne ha citati diversi) qual è il fattore che accomuna questi suoi lavori?

Che, in tutti questi casi, a Mogliano come in altre situazioni, mi sono sentito libero di esprimermi, pur con tutte le naturali attenzioni  di cui un progetto necessita e che il committente richiede. E’ questa la condizione ideale per ottenere buoni risultati nel mio lavoro.

Considerazioni finali:

Dalla lunga e piacevole chiacchierata con l’architetto Caprioglio ho dedotto che una gran parte della responsabilità della situazione edilizia attuale attiene le competenze, le capacità e l’etica dei progettisti, un’altra parte (minoritaria) ai committenti e una terza parte, a volte determinante e a volte del tutto ininfluente, alle amministrazioni pubbliche le quali, in molti casi, dimostrano di avere al proprio interno tecnici di qualità, con sensibilità e capacità  anche notevoli  ma non sempre in grado di intervenire a tutela del loro territorio di competenza.


 


ARTISTICASALE

 La mostra monografica "Artisticasale" con cui ho chiuso la mia carriera di insegnante si è tenuta a gennaio 2020 presso Villa Bembo di Casale sul Sile, per pochi giorni, in quanto è scattato quasi subito il Lockdown per l'emergenza Corona virus. Per consentire a tutti coloro che non hanno potuto visitarla di vedere che cosa conteneva la mostra, ho trasferito e sto ancora trasferendo in rete i materiali che avevo esposto: attività didattiche, disegni, vignette, video e molto altro. Potrete accedere alla mostra "on line" cliccando sull'immagine qui sotto. Grazie a tutti coloro che vorranno entrare e curiosare un po'...