I
tessuti naturali fanno bene alla salute e alla terra ma ne richiedono tanta e
ce n’è sempre meno, quelli chimici non richiedono terreni agricoli ma in compenso hanno un
impatto ambientale enorme…
Se volete
acquistare un capo di abbigliamento che non contenga sostanze nocive, nei
coloranti o nei tessuti, dovete orientarvi con una certa difficoltà e andare
alla ricerca di materie prima naturali se non addirittura biologiche con la
lente di ingrandimento e una certa competenza linguistica per leggere le
etichette. il cotone
biologico ad esempio è più sostenibile di quello convenzionale perché richiede
meno acqua per crescere e si coltiva senza l’utilizzo di pesticidi e
fertilizzanti, il ché porta beneficio a chi lo coltiva e alla fertilità del terreno
ma provate a cercare in giro capi di
questo tipo…Le aziende di produzione fanno fatica a creare prodotti di
abbigliamento competitivi dal punto di vista del prezzo e della forma perché
lavorare con materie prime naturali è molto più difficile che lavorare con
poliesteri e elastane. I costi di
produzione sono molto elevati e la concorrenza con la paccottiglia sintetica
che abbonda sul mercato avviene su un piano non comprensibile a tutti e spesso
la qualità va a farsi benedire in nome della praticità, dell’economia e della
velocità di acquisto. Per non parlare dei benefici che un capo realizzato in
fibre naturali apporta alla nostra salute rispetto ai danni che può provocare
un capo sintetico, anche all’ambiente. Voi direte: cosa c’entra l’ambiente con
il tessuto sintetico e con le nostre scelte di acquisto? C’entra eccome. l’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) ci dice infatti
che: i tessuti per l’abbigliamento
indossati dagli europei sono per il 60% costituiti da fibre sintetiche.
Il consumo globale di queste fibre è aumentato da poche migliaia di tonnellate nel 1940 ad oltre 60 milioni di tonnellate nel 2018 e continua a crescere. La produzione e il consumo di tessuti sintetici
generano emissione di gas serra,
l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, consumo di suolo, di acqua e altre risorse, oltre ad un impatto ambientale
derivante dall’uso di sostanze chimiche, mentre la produzione e l’uso di fibre sintetiche a base biologica è attualmente trascurabile. Il
nylon (secondo una classificazione internazionale) ha il maggiore impatto sui
cambiamenti climatici e sul consumo di combustibili fossili mentre, per quanto
riguarda il consumo di suolo, di acqua e minerali, è invece il cotone che ha il
maggiore impatto, per questo motivo sarà sempre più difficile avere alte
produzioni di cotone e tessuti naturali mentre è molto più concreto il pericolo
di uno sviluppo incontrollato del sintetico che non richiede risorse agricole
ma molte risorse energetiche che causano una enorme quantità di rifiuti non riciclati e
microplastiche. A livello globale, si stima che solo lo 0,06% di tutti i
rifiuti tessili venga riciclato in fibre da utilizzare in nuovi prodotti
tessili. Nel 2015 sono stati
generati a livello globale 42 milioni di tonnellate di rifiuti tessili sintetici,
pari al 13% di tutti i rifiuti di plastica. Non dobbiamo meravigliarci dunque se alla cementificazione selvaggia corrisponde una crescente
difficoltà a trovare in commercio
capi di qualità e in tessuto totalmente
naturale…
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