AZZURRO AMIANTO

Potentissimo e commovente il finale di questo racconto struggente e pieno di amore, per le persone, per la giustizia, per i figli, per il proprio passato, per la propria città (divorata e avvelenata da imprenditori senza scrupoli e senza coscienza) e per la vita. Beatrice è un personaggio meraviglioso di cui Emilia Bersabea Cirillo descrive in modo esemplare l’umanità, divisa tra l’impulso di fare qualcosa di concreto per gli altri e il bisogno di sentirsi donna e madre di una bambina speciale con la quale ha un rapporto  difficile ma intenso. Un gruppo di personaggi che intrecciano le loro storie personali sullo sfondo di un caso giudiziario che ha caratterizzato la storia recente di un territorio che Emilia conosce molto bene, martoriato dal terremoto, dalla corruzione e da un affarismo criminale che ha cancellato molte vite che avranno giustizia solo dopo decenni e grazie al coraggio di pochi (il parroco Don Vittorio e Renato, ex sindacalista). Un racconto che non trascura la critica al solidarismo da salotto, quello che si dimostra caritatevole a parole ma poco incline all’azione e dal quale traspare l’insofferenza dell’autrice per il conformismo e l’omologazione di alcune organizzazioni politico sindacali . Ho trovato coinvolgente e ben articolata la  descrizione del mondo familiare di Beatrice, fatto di ricordi giovanili e anche di una certa agiatezza spensierata del passato, in contrasto con la difficoltà e la drammaticità del presente che trova uno spiraglio di speranza e di ottimismo nel rapporto ritrovato (o forse appena nato) con Bianca, la sua bambina. Consiglio la lettura di  “Azzurro amianto” perché è un libro di qualità che ci racconta la realtà in cui siamo immersi tutti e del veleno, concreto ma anche metaforico, invisibile e pericoloso che respiriamo quotidianamente e dal quale ci possiamo salvare solo con la passione, l’impegno civico, la solidarietà e l’amore.

Nota: Sono stato compagno di università di Emilia e ne sono amico da circa cinquant'anni, ne apprezzo la tenacia e la passione di scrittrice da quando la osservavo, da studentessa di Architettura, leggere libri a tutte le ore e in tutte le condizioni ambientali, con stupore e anche un po' di invidia...


Emilia Bersabea Cirillo


MI HA SALVATO JAMBO JAMBO



SECONDA PARTE



Non potendo entrare in camera prima delle 14.00 esploriamo un po’ il villaggio che, fortunatamente, dispone di molte zone arredate con divani, letti, poltrone, di un vasto ristorante di un bar, di piscine, pizzeria italiana, palestra e zona per praticare lo yoga, palme, fiori e piante bellissime in quantità, spiaggia con appositi lettini sotto palme altissime da cui, con un certo ritardo e a mio rischio, ho appreso che cadono i cocchi quando sono maturi, centro benessere, lavanderia, uffici di cambio e turistici per ogni esigenza e persino il “villaggio Masai”, una ricostruzione in scala uno a uno di un “vero villaggio Masai” come dice la pubblicità. Peccato che sia la brutta copia di quello che si può tranquillamente vedere uscendo dal nostro Resort e attraversando la strada… Dall’aeroporto principale di Stone Town la strada che porta a Pingwe, dove siamo alloggiati, è solo in parte asfaltata e, al momento, piena di buche, per cui i numerosi pulmini che fanno la spola  per trasportare turisti nelle nostra zona sono piuttosto sgangherati ma gli autisti sembrano felici. Mi dice M., che vive da diversi anni a Pingwe e che rappresenta la ragione per la quale io e mia moglie ci troviamo qui, che la massima aspirazione dei locali è quella di avere un taxi con cui scarrozzare turisti e la cura con cui ogni taxi in cui entriamo è arredato sembra confermare questa informazione, vorrei avere per la mia Multipla quel coprivolante in pelliccia arancione ma non so se in Italia sarebbe considerato un particolare di “lusso” come da queste parti. Confesso che in tante cose l’edilizia urbana e il parco automobilistico locale mi richiamano alla memoria alcune periferie del nostro sud e non mi sento per niente a disagio, anzi, mi sembra di essere a casa… Anche se, devo dire la verità, un recinto fatto di copertoni non l’avevo ancora visto e non è per nulla sgradevole, nel contesto. Non avendo la camera per riposare approfittiamo dei lettini a bordo piscina dove si è immersa una signora che si lascia mollemente trasportare dalla leggera corrente creata dal vento mentre gli altoparlanti trasmettono musica new age e, un po’ più in là, alcune signore di una certa età si impegnano con giovanotti locali in improbabili esercizi yoga. L’atmosfera è favorevole e dunque ci prepariamo ad un pisolino rigenerante al fresco di questo clima caldo ma non asfissiante e, all’ombra, addirittura gradevole. Neanche fatto in tempo a pensare di chiudere finalmente gli occhi per almeno un paio d’ore che parte la musica a palla dal bar immerso a pelo d’acqua e inizia la fase scatenamento: un’esaltata che pare essere italiana e che non abbiamo mai visto prima ci si avvicina entusiasta di coinvolgerci nella danza del mattino, tutti insieme, a bordo piscina per un inizio della vacanza benaugurante e frenetico. 


Nelle sue intenzioni di animatrice professionale c’è sicuramente un progetto micidiale al quale intendiamo sfuggire immediatamente, ci alziamo con la scusa che la camera è quasi pronta e ci allontaniamo verso la spiaggia, meravigliosa, immensa, bianca come non  abbiamo mai visto e dove il sole picchia duro, tanto che devi indossare per forza occhiali da sole e spalmarti di protezione 50. Uno sguardo al bagnasciuga ci fa immediatamente passare la voglia di fare il bagno, è pieno di ricci e non è sabbioso dunque pericolosissimo, per questo notiamo la presenza di una lunga pensilina di cemento che porta il turista desideroso di immergersi, a circa 200 metri al largo per tuffarsi in un’acqua piuttosto biancastra, non perché sporca ma perché smuove la sabbia finissima del fondale. Non ci resta quindi che occupare qualche lettino lontano dalla piscina e dai rumori del villaggio vacanze per la tanto agognata dormitina, che dici? Che ore sono? Le 11.00, proviamo…














MI HA SALVATO JAMBO JAMBO


PRIMA PARTE



Andare a Zanzibar. Fino a qualche tempo fa mi sembrava impresa eroica e quasi impossibile, oggi, col senno di poi, posso dire che è stata una esperienza molto interessante, estremamente divertente, piuttosto faticosa alla nostra età (io e mia moglie siamo coetanei per quanto Vittorio Sgarbi, qualche giorno fa, le abbia dato 15 anni meno di me) e, in un certo senso, spirituale. C’è una distanza fisica pari a quella culturale, enorme, tra l’Italia e questo paese africano. Zanzibar è Tanzania, terra di Masai. 



Un posto incredibile. Si muove tutto lentamente tra orizzonti infinitamente lontani e spiagge bianche come neve battuta, palme altissime che ondeggiano al vento e volti sorridenti, perennemente curiosi, amichevoli, a cui la cattiveria sembra sconosciuta. Ragazzi sorridenti sfrecciano felici su improbabili motorette, in tre e anche in quattro e, ad ogni incontro, anche casuale, ti salutano con un “Jambo Jambo” oppure “Akuna matata” e sembrano sempre attendersi uno scambio, un cenno di saluto, una prova d’amicizia. Sbucano con queste loro teste ovali  meravigliose da orribili costruzioni in muratura, spesso pericolanti, tumefatte, semi crollate o soltanto iniziate, rattoppate con pezzi di lamiera, legno di recupero o foglie di palma, essenziali ma funzionali a svolgervi la loro esistenza semplice e naturale. Dappertutto, ai lati della strada principale, vedi bottegucce che vendono qualcosa, che stanno in piedi per miracolo, i cui proprietari si espongono al passaggio così come le semplici merci riposte su banchetti in legno traballanti sui quali spiccano alcuni frutti e poche verdure dai colori vivaci  che, incredibilmente (per noi) troveranno dei compratori prima di sera. Uno di questi commercianti, mi dicono, riesce anche a dormire dentro una minuscola capanna-negozietto di pochi metri quadrati, senza luce e senza niente che possa farlo sembrare un luogo di lavoro e anche una casa. A qualche decina di metri di distanza le costruzioni in “stile africano”  e la vegetazione colorata e rigogliosa del villaggio vacanze dove saremo alloggiati, emergono tra le macerie dell’abitato circostante, dove bambini bellissimi e vivaci, vestiti di stracci, giocano tra le pozzanghere  e i rifiuti sparsi un po’ ovunque. Arriviamo in mattinata, dopo un volo notturno interminabile (almeno per me che sopporto poco l’idea di essere sospeso a 11.000 metri nel vuoto, al buio e al freddo della notte) e una notte insonne, con l’immagine fissa di una doccia e un letto ma…la stanza non è pronta e non lo sarà fino a dopo pranzo perché le operazioni di pulizia e sistemazione richiedono tempi lunghi e, come potremo apprezzare anche nei giorni a venire, tutto a Zanzibar si svolge lentamente, con calma, “pole pole”*

*letteralmente “piano piano” in lingua Swahili, è un invito a rallentare, a fare tutto con calma, con pazienza.









Le case dei villaggi sono costruite in vari materiali, terra, impasti di cemento e pietre, lamiera, foglie di palma essiccate, un po' di tutto, diciamo che non si fanno problemi e non ne hanno nemmeno dal punto di vista climatico, dunque molte abitazioni sono senza infissi ma la tecnica costruttiva che vedete nelle foto qui sopra è davvero interessante e di (apparente) facile esecuzione, i tetti di foglie di palma vengono periodicamente rinnovati, quelli di lamiera resistono al tempo e alla ruggine e gli abitanti non ne temono la pericolosità, come è facile intuire.





MI HA SALVATO LA MATITA Maurizio Zenga e Vittorio Sgarbi a Napoli

Non posso fare a meno di raccontare, con le immagini, il mio incontro con Vittorio Sgarbi a Napoli. Si era appena conclusa la presentazione nella sala grande dello storico Caffè Gambrinus, quando ho visto entrare in sala e venire verso di me il professor Sgarbi dicendomi "Lei è Zenga!", sono rimasto interdetto perchè non mi aspettavo questa sorpresa. Sgarbi si è intrattenuto in modo molto affabile e divertente a parlare un po' del mio libro facendomi i complimenti soprattutto per la grafica che gli è piaciuta molto. Ho girato i suoi complimenti a mio fratello Mario che, nel video si vede, ha fatto una battuta esilarante in merito al discorso sulle pagine bianche dei libri destinate alle dediche. Nel finale del video anche mia moglie è stata al gioco con una battuta fulminante con cui ha risposto ai complimenti del professore. Insomma una bella serata, una presentazione interessante, piena di amici e di belle parole, conclusasi con questo incontro inaspettato, davvero molto piacevole e a tratti esilarante con un personaggio che si è rivelato, da vicino, estremamente simpatico e gentile.



BASTA! E’ ORA DI FINIRLA CON QUESTO SCEMPIO!

Sono stufo di vedere alberi abbattuti e di sentire seghe elettriche al lavoro dappertutto, che senso ha questo scempio continuo? Gli alberi sono sacri, ci vuole rispetto! Gli alberi secolari si curano, si tutelano, si mantengono in vita a qualunque costo e si tagliano solo per ragioni (accertate) di sicurezza pubblica.  

NON SI TAGLIANO PER NESSUN’ALTRA RAGIONE AL MONDO!! 

Ma possibile che con la crisi ambientale, drammatica, che stiamo vivendo non si pensi che anche un solo albero, UNO SOLO, può essere essenziale per la nostra sopravvivenza? Che esempio stiamo dando ai nostri figli con questo tagliare continuo e indiscriminato finalizzato a cosa poi? A favorire il deposito di deiezioni canine lasciate spesso impunemente ad essiccare sotto la sterpaglia? Al cosiddetto “decoro urbano” fatto di aree cementate e lastricate in modo da arroventarsi meglio nei mesi estivi? Ad evitare che i soliti incivili possano depositare nottetempo bottiglie vuote di birra, scatole per asporto pizza, lattine e rifiuti di vario genere tra alberi e siepi frondose? E non sarebbe più facile ed economico attivare un servizio di sorveglianza comunale e applicare multe salate a questi malnati invece di abbattere gli alberi e spianare boschi di bambù meravigliosi come quello che ho fotografato oggi in via Barbiero? Maledizione! Era un luogo magnifico! Una passeggiata unica, suggestiva, un angolo di paradiso nel quale mi perdevo per qualche minuto ogni giorno, pensando di vivere ancora in un luogo privilegiato (Mogliano Veneto) e oggi lo trovo così e mi vengono le lacrime agli occhi e un senso di smarrimento davanti a ciò che resta di quell’oasi di verde che avevo a portata di mano e che ora non esiste più.

Voglio manifestare  tutto il mio sdegno, la mia indignazione e la mia rabbia, per questa distruzione lenta e inesorabile del territorio urbano e del verde di questa città che lascia spazio, peraltro, a una speculazione indecente che crea agglomerati di cemento con spazi abitativi invivibili, costosissimi e talmente brutti da deformare irreparabilmente l’immagine storica di un centro urbano una volta deliziosamente unico. Non si può restare in silenzio di fronte a tutto questo, e non è questione di destra o sinistra, le amministrazioni non brillano in questa materia né dall’una né dall’altra parte, è una questione di buon senso e di civiltà del vivere. Bisogna dire basta al taglio degli alberi indiscriminato e basta alla cementificazione selvaggia e alla speculazione!




 

TCBF DI TREVISO - FIRMACOPIE DOMENICA 25 SETTEMBRE 2022 ORE 18.00

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QUANDO DISEGNAVO PER LA RAI

 


Nel 1979, frequentavo l’Università e lavoravo a contratto con la RAI (pagavano benissimo gli “esterni”) era un lavoro divertente e impegnativo in quanto si trattava di realizzare delle brevi sigle animate per programmi di varia natura. Io facevo il progetto, lo presentavo al direttore di rete, si teneva una breve riunione per approvare i contenuti dopodiché si passava alla realizzazione. Io creavo i disegni che poi venivano animati da uno strumento che oggi farebbe ridere a confronto con i sistemi di animazione che abbiamo a disposizione: la truka. Non c’erano computer o sistemi di animazione digitali dunque la lavorazione richiedeva molto tempo, a volte mesi, e spese ingenti di produzione per pochi minuti di video. Ricordo che alcuni filmati venivano spediti addirittura in Olanda per essere rifiniti con macchinari che la RAI non aveva a disposizione e ogni volta mi stupivo dei risultati sorprendenti, e anche dei costi imponenti, che l’azienda pubblica sosteneva per pochi minuti di sigla. Oggi posso fare le stesse cose, molto meglio, con un programmino gratuito che gira sul mio portatile. Così va il progresso… Nella foto un articolo del “Mattino” di Napoli che parla di una trasmissione di cui avevo creato la sigla e la scenografia, il cui responsabile era un ancora poco conosciuto Domenico De Masi.

MI HA SALVATO LA MATITA


Ho la passione del disegno da quando ero bambino, mi piace soprattutto creare personaggi divertenti e vignette umoristiche, mi sono sempre ispirato alle persone che ho conosciuto nei diversi ambienti che ho frequentato, cercando di riprodurne i tratti particolari e più divertenti. La vignetta mi attrae particolarmente perché consente di unire testo e immagine per esprimere, con estrema sintesi, concetti anche profondi e complessi. Nel corso della mia carriera di insegnante di Educazione Artistica ho disegnato migliaia di vignette dedicate alla scuola, molte le ho regalate a colleghi, alunni, dirigenti, genitori… tantissime le ho conservate. Dal 2019 sono in pensione  e la pausa imposta dal Covid mi ha consentito di riordinare il mio archivio e di selezionarne una parte cospicua che ho raccolto in un libro che sarà in distribuzione nei prossimi giorni, nelle librerie e sulle principali piattaforme on line. Il volume contiene, oltre alle vignette, testi che ho scritto sulla mia esperienza di docente, come una sorta di “diario di bordo” che spero potranno aiutare il lettore a comprendere come è cambiata la scuola negli ultimi anni e come potrebbe ancora cambiare, secondo me.

 Dal 25 settembre 2022 in libreria e sulle piattaforme online!


UNA CARTOLINA DA HAMMERSTEIN

 


Oggi, in occasione della “Giornata della memoria ”, vorrei ricordare il Sig. Bruno Rossetto di Casale sul Sile persona di grande esperienza e umanità al quale mi ha legato una sincera amicizia negli anni in cui ho insegnato a Casale sul Sile. Nell’anno scolastico 2009/2010  Bruno Rossetto partecipò attivamente al  “Laboratorio cinema”, che svolgevo presso la scuola media, diventando il protagonista di un video realizzato insieme ai ragazzi e ispirato alla sua incredibile storia di prigioniero di guerra. Fu una esperienza indimenticabile, per me e per i ragazzi del laboratorio ma credo anche per lui che ebbe la possibilità di  raccontare e di rivivere insieme a noi la sua toccante vicenda umana.

Oggi, 27 gennaio 2022, metto a disposizione di chi desidera conoscere meglio la sua storia il video che realizzammo nel laboratorio, con la sua straordinaria partecipazione. Potete vederlo, nella versione originale, a questo Link dove resterà visibile per una decina di giorni:

UNA CARTOLINA DA HAMMERSTEIN  

Il soggetto del cortometraggio fa riferimento ad una storia vera riguardante un cittadino di Casale sul Sile ( TV ) , ex combattente nell’ultima guerra mondiale ed ex prigioniero nel campo tedesco di Hammerstein, nel 1943.La vicenda di Bruno Rossetto, questo è il nome del nostro testimone, attraversa un periodo fondamentale della nostra storia e comprende un episodio che ha dell’incredibile: lo strano, incredibile percorso di una cartolina, da lui spedita a suo fratello nel lontano 1943 dal campo di prigionia tedesco in cui era stato deportato e mai arrivata al destinatario ma  “ritornata” nelle mani del mittente dopo moltissimi anni  grazie ad una occasione fortuita e del tutto casuale.

La cartolina è stata recuperata ( solo qualche anno fa ), presso un mercatino dell’usato a Udine, da un alpino di Casale sul Sile che l’aveva notata curiosando  tra i banchetti del mercato, leggendone l’indirizzo del Comune di Casale sul Sile.

Questo signore l’ha acquistata pensando di  poterne trovare il destinatario e di recapitarla, attraverso amici e conoscenti comuni, al legittimo destinatario o ai suoi parenti.

Purtroppo il fratello di Bruno Rossetto, a cui era stata inviata la missiva è morto dopo pochi mesi di guerra ma il signor Bruno ha potuto rientrare in possesso della sua cartolina, oggetto prezioso e davvero pieno di ricordi, grazie all’interessamento di alcuni amici che hanno fatto in modo di consegnargliela nel corso di una festa organizzata appositamente per l’occasione in un cinema di Casale. Partendo da questo episodio curioso e anche commovente e dall’idea che, attraverso questo episodio, si potesse creare una sorta di collegamento tra  scuola e territorio, vita attuale e storia passata, giovani e anziani, memoria e futuro, il “laboratorio cinema” ha proposto come primo tema di quest’anno ( ci sarà un secondo lavoro a breve, su un tema diverso ) un film-documento sulla storia della sua prigionia raccontata da B.Rossetto agli alunni della nostra scuola e della Storia come memoria viva, trasmessa attraverso la testimonianza di coloro che, per fortuna, ancora possono raccontare ai giovani cosa è stata la guerra e perché non bisogna mai più farla.

 

TITOLO: “Una cartolina da Hammerstein”

DURATA: 48’34”

PROGETTO:  Maurizio Zenga

( docente responsabile del laboratorio Cinema a scuola

 per l’Istituto Comprensivo di Casale sul Sile )

INTERPRETI: Graziano Serra, gli alunni del laboratorio cinema 2009/2010

con la partecipazione di Bruno Rossetto e Carlo Meneghetti

ARGOMENTI: la seconda guerra mondiale, la Storia a scuola, il rapporto tra giovani e anziani, la memoria, la multimedialità e la didattica nella disciplina Arte e immagine nella scuola media, il cinema a scuola, la relazione tra scuola e territorio.

SONORO: in presa diretta e doppiaggio in studio

FORMATO: 16:9 telecamera mini DV ( Panasonic )