La mostra presso la galleria Spazio 5 di Treviso, che vede
esporre insieme Paola Gasparetto e Simone Zambon, una coppia di coniugi
artisti, è molto interessante sul piano della forma ma anche e soprattutto su
quello dei contenuti, perché rivela la positività del confronto dialettico tra
due modelli creativi del tutto diversi e tra due tematiche che, solo in parte,
si intrecciano confrontandosi in modo accattivante, per il gusto e il
divertimento dello spettatore, non necessariamente esperto e formato alla
Storia dell’Arte ma curioso di assistere a questo dialogo pubblico, artistico-familiare
che personalmente mi ha interessato per diversi aspetti:
Paola è una docente di Arte con una solida formazione e un
forte spirito creativo, impegnata e determinata nel produrre oggetti che molto
hanno a che fare con la decorazione e il design, tanto che la carica espressiva
dei suoi lavori sta principalmente nel loro aspetto coloristico e decorativo
che prevale sulla rappresentazione pittorica la quale, seppure di buona
fattura, non costituisce, a mio parere, la componente principale del suo
lavoro. Lo spettatore è attratto dall’elemento composto da cornice e dipinto
nel suo insieme ma si sofferma soltanto dopo sul contenuto espressivo
dell’opera creativa, una scelta di Paola credo determinata dalla necessità di
elaborare dei soggetti/oggetti unici che riescano ad incuriosire lo spettatore
prima di tutto sul piano visivo (colore, tecnica esecutiva, aspetti decorativi)
e poi su quello interiore, entrambi emozionali. In quest’ordine, certamente
adatti ad una percezione dell’Arte veloce, dinamica e adatta ai nostri tempi.
Non a caso la sua è una esperienza di insegnante che misura il tempo di
attrazione di uno sguardo su una immagine nell’arco di pochi decimi di secondo,
dunque sa certamente cosa vuol dire richiamare l’attenzione sul significante
(la forma) per poi passare al significato (il contenuto). Simone è invece uno
sperimentatore della forma e dei segni il cui linguaggio appartiene ad una
semantica antica e misteriosa che contrappone ad una materia naturale, sacra,
quasi mitologica come il legno, una materia del tutto sintetica, chimica,
innaturale, come la resina trattata e lavorata con tecniche avanzate di
modellazione e colorazione. Nel suo caso l’opera è di immediata lettura
simbolica e l’approfondimento dello spettatore riguarda ciò che l’artista è
capace di fare con due materiali così diversi ma nei quali ricerca a tutti i
costi la continuità formale ed emotiva. Un lavoro di scultura dinamica e
introspettiva che richiama all’esperienza della grande scultura moderna europea
e americana del secolo scorso, che forse avrebbe bisogno di spazi molto più grandi
per essere fruita appieno nella sua “contorta” bellezza formale ed espressiva.
Anche nell’opera di Simone traspare la notevole sapienza artigianale del
costruttore di “oggetti” ma c’è nelle sue opere una dimensione onirica e
spirituale che rimanda ad un mondo interiore, dell’anima, che sembra sul punto
di esplodere in una nuova forma espressiva che raccoglie nel passato più remoto
per proiettarsi nel futuro più imprevedibile. Il confronto spaziale tra queste
due metodologie, tra questi due linguaggi, tra due mondi tanto diversi sul
piano creativo, contenutistico e formale, in uno spazio limitato come una galleria
in centro a Treviso, attrae fortemente lo spettatore curioso con il desiderio di
capire cosa c’è dietro questo originale connubio artistico e familiare. Probabilmente
la forte necessità di parlarsi e di comunicare attraverso parametri creativi,
non solo affettivi, su di un piano ancora più profondo, alla ricerca di un
equilibrio tra lavoro, impegno quotidiano e passione per l’arte, con l’urgenza
di esprimersi al di là delle convenzioni e delle sovrastrutture, in modi e
azioni che vadano oltre la consuetudine del quotidiano alla ricerca di una
nuova e più completa felicità.



